Kevin Spacey e il Rinascimento hanno qualcosa in comune.
Firenze, chiesa di Santa Maria del Carmine, Cappella Brancacci. In un’opera di Filippino Lippi c’è un giovane dallo sguardo penetrante che sembra distratto da qualcosa. Quel qualcosa siamo noi. Ci ha scoperti.
Ecco come anticipare di cinque secoli House of Cards.
L’episodio agiografico e la serie Usa condividono la rottura della quarta parete. Quel ragazzo del Quattrocento cerca la nostra complicità almeno quanto Spacey nei panni del Presidente Underwood.
Dalla letteratura (Se una notte d’inverno un viaggiatore, Sei personaggi in cerca d’autore) al cinema (Io e Annie, Deadpool, ecc.) fino alla tv, lo sfondamento del “muro” problematizza il ruolo di chi guarda e chi è guardato. Se usato bene, però, non cancella l’incantesimo, bensì lo rafforza. Come nella serie Fleabag.
Dal primo istante entriamo in contatto con le maschere folli, maliziose, acutissime di Phoebe Waller-Bridge, al punto da non poter più smettere di guardare. Malgrado un’apparente estraneità dal mondo, Fleabag ci trascina con sé dentro le proprie lacune, trasgressioni, solitudini e dolcezze con la forza di un uragano, amplificata dalla connessione empatica tra lei e noi.
L’equilibrio però è sottile: funziona a patto che l’eroe e la sua gente, il prodotto e il suo pubblico, si perdano negli occhi dell’altro senza perdere di vista se stessi.
Noi di S/inner continuiamo a credere nelle connessioni visive, purché nascano da una buona storia. Scopri come dare più valore alla tua.
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