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Guardare di soppiatto

Paura è assistere a una scena spaventosa o sapere che qualcosa di spaventoso sta accadendo, senza poterlo vedere?


È la differenza tra l’orrore e la suspense.


L’orrore conosce vette metafisiche, come in Murnau e Kubrick, e regressi pornografici, come nel cinema splatter. La suspense, invece, è una freccia: se lanciata bene va sempre a segno. Perché laddove l’orrore moltiplica, esibisce, si carica di simboli la suspense sottrae, nasconde, cerca gli archetipi.


È così in tutti i film di Hitchcock. In Strangers on a train (1951), l’omicidio si consuma in modo indiretto: il fuoco è sugli occhiali della vittima attraverso cui la scena si riflette. Altrove, la giovane protagonista di Split (Shyamalan, 2016) avverte il pericolo in auto osservando l’arrivo del suo rapitore dallo specchietto retrovisore. Nella scena del massacro di una coppia, in Zodiac (Fincher, 2007), non c’è una goccia di sangue: solo il suono, terribilmente reale, delle coltellate.


La suspense è al principio dell’immaginazione. Per questo è una lezione non tanto per i cinefili quanto per i comunicatori: non vedere tutto non significa guardare meno. Quante volte, in pubblicità, il prodotto è stato valorizzato senza essere ossessivamente mostrato?


See the inner, guarda ciò che c’è dentro, è il messaggio principale di S/inner.

Per noi è un invito a mostrare (e mostrarsi) solo dopo aver capito fino in fondo quanto, cosa e soprattutto perché mostrare.

Quindi, se vuoi trasmettere ciò che per te è essenziale... colpo di scena.

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